Adriano & Rossi - Studio Legale Associato

Новости

Xtream codes: cosa rischiano gli spettatori abusivi delle Pay per View. I possibili risvolti processuali (di Pietro Danna)

Stando alle notizie dei media, circa 600.000 italiani potrebbero essere implicati in questa vicenda: i possibili approcci difensivi.

Ha destato molto interesse la retata effettuata nelle scorse settimane dalla Guardia di Finanza al fine di smantellare la piattaforma IPTV illegale Xtream Codes, la quale permetteva a circa 5 milioni di utenti (di cui circa 600 mila italiani) di visionare tutti i canali di Sky, di Mediaset Premium (finché è stata attiva), di Dazn, di Netflix, di Infinity (gruppo Mediaset) in cambio di un abbonamento low cost pari a soli 15 euro al mese. Tale organizzazione era riuscita a mettere in piedi una vera e propria rete commerciale: i pirati trasformavano il segnale televisivo, comprato in modo lecito, in un flusso di dati digitali in grado di viaggiare via computer, quindi inviavano questo flusso a delle rivendite che erano particolarmente radicate in Lombardia, Veneto, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, le quali proponevano, poi, il pacchetto in vendita all’utente finale. Inoltre, vi era altresì la possibilità acquistare uno speciale abbonamento per 59 euro al mese, grazie al quale non solo si potevano vedere i contenuti piratati, ma anche rivendere il servizio ad altri utenti: in tal modo si creava una catena potenzialmente infinita di piccoli distributori.

Ma quali sono le sanzioni applicabili alla fattispecie in questione? Ed inoltre, chi colpiscono?

Ai sensi della Legge sulla protezione del diritto d’autore, la n. 633 del 1941, e precisamente ex art. 171-octies, “è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 25.822 chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale”. Per accesso condizionato, la legge intende “tutti i segnali audiovisivi trasmessi da emittenti italiane o estere in forma tale da rendere gli stessi . visibili esclusivamente a gruppi chiusi di utenti selezionati dal soggetto che effettua l'emissione del segnale, indipendentemente dalla imposizione di un canone per la fruizione di tale servizio”.

Inoltre, l’art. 174-bis della predetta legge, prevede altresì una sanzione amministrativa pecuniaria che va ad aggiungersi alle sanzioni penali applicabili: essa sarà “pari al doppio del prezzo di mercato dell'opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a euro 103,00. Se il prezzo non è facilmente determinabile, la violazione è punita con la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto”.

Come si evince agevolmente dalla lettura della norma, non sono immuni da conseguenze sanzionatorie nemmeno gli utenti che hanno incautamente utilizzato tali strumenti per scopi privati, oltreché, ovviamente, chi gestisce o si faccia da promotore di predetti sistemi pirata.

Sul piano processuale, ed oltre, quali sono, dunque, le possibilità a disposizione di chi venisse indagato in base alla predetta normativa?

Intanto occorrerà verificare se gli elementi indiziari di cui dispone la Procura della Repubblica sono tali da poter individuare con certezza il colpevole. Nel diritto penale vige infatti il principio della personalità della pena e può essere punito solo colui che abbia effettivamente commesso il reato. L’incertezza sull’individuazione del soggetto si traduce pertanto in assoluzione. Occorrerà vedere dunque come si è pagato ed attraverso quale dispositivo o connessione dati si è fruito del servizio illegale. Magari ciò è avvenuto attraverso reti o dispositivi che sono utilizzati da altre persone: l’impossibilità di individuare con certezza il soggetto che ha tenuto la condotta delittuosa può rappresentare, in questi casi, una possibile ancora di salvezza.

Laddove ciò non sia possibile e le prove siano inconfutabili, potrà comunque trovare applicazione l’istituto della sospensione del processo con relativa messa alla prova, introdotta nel nostro ordinamento con  la legge 28/04/2014, n. 67, entrata in vigore il 17/05/2014, e che consiste in una modalità alternativa di definizione del processo, attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari, mediante la quale è possibile pervenire ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, laddove il periodo di prova cui acceda l'indagato/imputato, ammesso dal giudice in presenza di determinati presupposti normativi, si concluda con esito positivo.

La richiesta per accedere all’istituto in questione deve essere formulata dall’indagato/imputato, oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, con sottoscrizione autenticata in caso di conferimento della procura speciale. Inoltre essa deve essere corredata di un programma di trattamento elaborato dall'Ufficio esecuzione penale esterna competente per territorio, ovvero da un'istanza rivolta al medesimo Ufficio e finalizzata alla sua elaborazione. Quanto ai presupposti oggettivi, l’istituto della messa alla prova può trovare applicazione qualora si tratti di procedimenti per un reato punito con la pena pecuniaria, con la pena detentiva fino a quattro anni ovvero a un reato che rientra fra quelli previsti dall’art. 550, comma 2, c.p.p. di competenza del Tribunale monocratico con citazione diretta a giudizio.

In secondo luogo, risulta applicabile alla fattispecie sanzionatoria in discorso anche l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, disciplinata dagli artt. 444 e ss. del codice di procedura penale, rito speciale che permette di chiedere, congiuntamente al Pubblico Ministero, l’applicazione di una sanzione sostitutiva o di una pena detentiva/pecuniaria diminuita fino ad un terzo. E’ da sottolineare, inoltre, che l’ultimo comma dell'art. 444 c.p.p prevede anche la possibilità per la parte che formula la richiesta di patteggiamento di "subordinarne l’efficacia alla concessione della sospensione condizionale della pena": se ciò avviene, il Giudice che ritiene che la sospensione condizionale non possa essere concessa rigetta la richiesta.

Quid pluris: si può invocare la c.d. “tenuità del fatto”? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15124 del 24/10/2017 se ne è occupata proprio in un caso di violazione della legge sul diritto d’autore. Con tale pronuncia, la Suprema Corte, chiamata ad esprimere un giudizio di legittimità circa il decreto con il quale il G.I.P. di Perugia, con riferimento alla notizia di reato di cui all’art. 171-octies della legge 633/1941, ebbe a disporre la archiviazione del procedimento per infondatezza della notizia di reato e per la sussistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto (ex art. 131-bis c.p.), ha annullato il decreto impugnato in quanto il Giudice si era limitato a condividere le conclusioni a cui era giunto il PM circa l’applicabilità al caso in esame della causa di non punibilità, mentre, ai sensi dell’art. 411 c.p.p. egli avrebbe dovuto osservare la speciale procedura prevista dal comma primo-bis di tale norma. Nello specifico, il PM aveva sostenuto l’applicabilità al caso di specie della scriminante di cui all’art. 131-bis c.p. in considerazione “delle condotte bagatellari ascritte agli indagati, che avrebbero comportato agli utenti un beneficio economico trascurabile generando, al tempo stesso, un danno limitatissimo al titolare dei diritti televisivi”. Dunque niente scriminante della tenuità del fatto in tema di violazioni sui diritti televisivi? A ben vedere, tale pronuncia, ha censurato la decisione del GIP per motivi strettamente processuali e legati all’inosservanza della disposizione codicistica che impone all’organo giudicante di fissare un’udienza in camera di consiglio in seguito alla presentazione dell’opposizione alla richiesta di archiviazione da parte del PM, salvo il caso in cui la stessa sia inammissibile. Pertanto la Suprema Corte non è entrata nel merito della questione e dunque in futuro non si possono escludere pronunce favorevoli all’applicazione della scriminante in discorso ai casi di cui si sta occupando ora la magistratura.