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Gli interessi di mora sono soggetti alla verifica di usurarietà? Nota a Cass. 30.10.2018, n. 27442 (di Alessandro Amato)

È vivace il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla questione dell’omogeneità degli interessi corrispettivi e di mora nell’ambito della disciplina antiusura. Si sono formati orientamenti difformi all’interno della giurisprudenza di merito, così come tra la giurisprudenza di merito e quella di legittimità. Sin dal 2003, la Suprema Corte si è espressa nel senso dell’assoggettabilità degli interessi moratori alla disciplina antiusura, al pari degli interessi corrispettivi. Tuttavia, l’ordinanza resa dalla Cassazione n. 27442/2018 si distingue per aver fornito premesse concettuali sulla controversa natura degli interessi moratori e sulla loro omogeneità rispetto agli interessi corrispettivi.

Gli aspetti principali del provvedimento in esame possono essere così sintetizzati:

– gli interessi convenzionali di mora non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dall’art. 2, comma 4, L. 7.3.1996 n. 108, vanno qualificati ipso iure come usurari; il predetto articolo, infatti, si applica sia agli interessi promessi a titolo di remunerazione del capitale o della dilazione di un pagamento (interessi corrispettivi), sia agli interessi dovuti in conseguenza della costituzione in mora (interessi moratori);

– anche gli interessi moratori costituiscono la remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha (involontariamente) goduto e rientrano pertanto nella previsione degli interessi «promessi o dovuti in corrispettivo di una prestazione in denaro» (art. 644, comma 1, c.p.);

– la L. n. 108/1996 ha introdotto un criterio oggettivo al duplice scopo di tutelare da un lato le vittime dell’usura, e dall’altro il superiore interesse pubblico all’ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche: escludere dall’applicazione di quella legge il patto di interessi convenzionali moratori da un lato sarebbe incoerente con la finalità da essa perseguita; dall’altro condurrebbe al risultato paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento; per altro verso ancora potrebbe consentire pratiche fraudolente, come quella di fissare termini di adempimento brevissimi, per far scattare la mora e lucrare interessi non soggetti ad alcun limite;

– il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 L. n. 108/1996, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia;

– nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c. agli interessi moratori usurari non parrebbe sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale.

La Suprema Corte, occupandosi dell’usura nella mora è quindi pervenuta a stabilire un rapporto del costo della mora alla soglia d’usura di cui ai decreti ministeriali per la categoria di credito interessata, escludendo ogni maggiorazione e/o diverso criterio di confronto.

Con tale assunto l’ordinanza in esame viene a limitare apprezzabilmente il principio di omogeneità del confronto nella verifica dell’usura, stabilito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 16303 del 20/06/2018. Nel contempo, tuttavia, ha ritenuto aggiungere l’inapplicabilità dell’articolo 1815 c.c. agli interessi di mora usurari, distinguendo gli interessi di mora dagli interessi corrispettivi, ponendosi in tal modo in contrasto con la stretta sovrapposizione di tale articolo all’articolo 644 c.p. sulla quale si fonda l’altra pronuncia delle Sezioni Unite n. 24675 del 19/10/2017.

L’ordinanza stabilisce che il divieto di pattuire interessi eccedenti la misura massima prevista dalla legge 108/96 si applica sia agli interessi corrispettivi, sia a quelli moratori. La formulazione degli articoli 644 c.p., dell’articolo 2 della legge 108/96, dell’articolo 1 del Decreto Legge 394/00, dimostrano che, ai fini dell’usura, la legge non consente distinzione tra i due tipi di interessi.

La Cassazione ritiene che non abbia rilievo la circostanza che la rilevazione da parte del MEF degli interessi medi praticati dagli operatori non prenda in considerazione gli interessi moratori, né tanto meno considera le rilevazioni campionarie della Banca d’Italia, da ultimo aggiornate e modificate (Cfr. G.U. 30 dicembre 2017, n. 303). “L’art. 2, comma 1, l. 108/96 stabilisce infatti che la rilevazione dei tassi medi debba avvenire per “operazioni della stessa natura”. E non v’è dubbio che con l’atecnico lemma “operazioni” la legge abbia inteso riferirsi alle varie tipologie contrattuali. Ma il patto di interessi moratori convenzionali ultralegali non può dirsi un’ “operazione” e tanto meno un tipo contrattuale. (...) È dunque più che normale che il decreto ministeriale non rilevi la misura media degli interessi convenzionali di mora, dal momento che la legge ha ritenuto di imporre al ministro del tesoro la rilevazione dei tassi omogenei per tipo di contratto, e non dei tassi di interesse omogenei per titolo giuridico”.

Il provvedimento rigetta anche il riferimento alla legge contro i ritardi nel pagamento delle transazioni commerciali tra imprenditori, che prevede, come interesse legale di mora, un saggio del 9,25% che può risultare superiore alle soglie d’usura. L’articolo 5 del Decreto Legislativo 231/02 fissa il saggio “legale” di mora nelle transazioni commerciali, ma lascia alle parti la facoltà di derogarvi. Se le parti vi derogano, il patto di interessi moratori non sarà più disciplinato dal Decreto Legislativo 231/02, ma dalle restanti norme dell’ordinamento, dunque dall’articolo 2 legge 108/96.

Richiamando infine la Corte Costituzionale n. 29/02 e le reiterate pronunce della Cassazione intervenute nel corso degli ultimi vent’anni, si stabilisce il principio di diritto: “è nullo il patto col quale si convengono interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’articolo 2 della l. 7.3.1996 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali”.

A detto principio viene altresì aggiunta la precisazione che, in assenza di qualsiasi norma di legge, l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base al saggio rilevato ai sensi dell’articolo 2 della legge 108/96 (tasso soglia calcolato con riferimento al tipo di contratto) e non in base ad un “fantomatico tasso” talora definito nella prassi di “mora- soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia.

In definitiva, mentre il divieto di pattuizione usuraria previsto dall’articolo 644 c.p., integrato dall’articolo 2 della legge 108/96 si estende sia agli interessi corrispettivi che agli interessi di mora, questi ultimi rimarrebbero esclusi dalla sanzione prevista nell’articolo 1815 c.c.: “nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, l’applicazione dell’articolo 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale”.

In conclusione, in presenza di interessi moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, la Corte attribuisce al danneggiato gli interessi al saggio legale, secondo le norme ordinarie (la clausola di determinazione del tasso verrebbe, dunque, travolta dalla nullità e gli interessi moratori dovrebbero essere ricalcolati al tasso legale).

L’argomentazione non ha però convinto alcuni commentatori posto che il testo dell’art. 1815, II co., c.c., così come novellato dalla legge 108/96 ed interpretato dalla norma di interpretazione autentica n. 24/2001 non lascerebbe (a detta di tali commentatori) alcun margine di una diversa interpretazione se non quella che si desume dal testo letterale della norma (se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi) così come modificata dalla specifica disposizione contenuta nella legge 108/96 (art. 4 co. 1: “1. Il secondo comma dell’articolo 1815 del codice civile è sostituito dal seguente: Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”) e soprattutto dalla norma di interpretazione autentica (art. 1 co. 1: “1. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.”) e dalla relazione che accompagna quest’ultima legge (“4. L’articolato fornisce al comma 1 l’interpretazione autentica dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, comma secondo, del codice civile. Viene chiarito che, quando in un contratto di prestito sia convenuto il tasso di interesse (sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio), il momento al quale rifarsi per verificarne l’eventuale usurarietà sotto il profilo sia penale che civile, è quello della conclusione del contratto, a nulla rilevando il pagamento degli interessi”).

Si veda a tal proposito l’interessante ed autorevole commento del dott. Marcelli in “La mora e l’usura. La Cassazione reinterpreta le Sezioni Unite” La sentenza n. 27442 del 30 ottobre 2018”. Le conclusioni dell’ordinanza della Corte probabilmente non consentiranno di evitare ulteriore contenzioso. È possibile, anzi, che la pronuncia in commento sia destinata ad alimentare incertezze applicative, tali da sollecitare l’intervento delle Sezioni Unite o quello del legislatore.

In ambito bancario si susseguono da sempre pronunce che modificano rapidamente il quadro giuridico di riferimento. La certezza del diritto e la connessa stabilità dei rapporti giuridici dovrebbe, invece, passare necessariamente attraverso “un rafforzamento della funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, dalla quale l’operatore economico si attende una maggiore razionalità, prevedibilità ed uniformità del decidere” (cfr. dott. Marcelli, op. cit.).